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Another brick in the wall…
«Un mur est tombé en Europe, un autre est toujours debout». Così un bel reportage di Le Monde di qualche giorno fa, celebrando il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino – evento che, a ragione, lo storico inglese Thimoty Garton Ash ritiene abbia aperto la strada non solo alla riunificazione tedesca, ma a quella dell’intera Europa – ricorda i tanti muri che ancora oggi, spesso nel silenzio dei media, aspettano di essere abbattuti.
Lo sguardo dei più attenti non va soltanto alla lontana Palestina, ma ricomprende i muri di “casa nostra”, da quello che ancora oggi corre lungo Cuper Street, a Belfast, per separare i quartieri protestanti da quelli cattolici, alla “linea verde” che divide ancora la Cipro greca da quella turca (e che neanche l’ingresso del Paese nell’UE, nel 2004, è riuscito a scalfire), fino alla cinta muraria costruita nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in territorio marocchino, per impedire l’ingresso di immigrati africani in Europa.
Muri sono anche i tanti conflitti irrisolti, da quello tra Spagna e Inghilterra per Gibilterra, alle tensioni tra Grecia e Macedonia, passando per le dispute sui confini tra Croazia e Slovenia.
Su tutti questi nuovi muri, risuonano le belle parole dell’editoriale di Alberto Negri, pubblicato dal Sole 24 Ore: «Ogni volta che l’uomo incontra l’altro, diceva il grande giornalista e viaggiatore polacco Ryszard Kapuscinhski, gli si presentano tre possibilità: fargli la guerra, ritirarsi dietro a un muro, aprire un dialogo. L’uomo esita, da sempre, tra queste tre opzioni. Nella nostra epoca è stata chiamata apartheid l’idea che ha portato a innalzare muraglie e scavare profondi fossati per isolarsi e rinchiudersi Anche se è stato attribuito al razzismo dei bianchi in Sudafrica, in realtà l’apartheid oggi riguarda tutti. Si tratta di uscirne riconoscendo l’umanità degli altri, il che non significa accettare tutto ciò che viene da fuori né abbandonarsi al relativismo. È un percorso difficile, forse il più arduo che abbiamo davanti: ma, prima o poi, bisogna saltare il muro».